"ARCANGELA PALADINI" è un Monologo Teatrale, in lingua italiana, con la prefazione della Dott.ssa Jacopa Stinchelli, pubblicato a Roma dalla Editrice AETAS, nell'anno 2004.
"Alberto Macchi, uomo di teatro. Il teatro, luogo dello sguardo semplicemente. Si fa avanti però, sin dagli inizi, il modesto ma risoluto rifiuto dei personaggi macchiani a farsi rapprentare nell'edificio deputato, a essere rinchiusi in un manicomio convenzionale. [...] Arcangela Paladini non può staccarsi dalla vita, ha un racconto in sospeso con essa. Così l'auspicio di Macchi a rappresentarla in un luogo che sia ancora, manifestamente, attaccato dalla e alla vita contemporaneamente. [...] Ci sono alcune caratteristiche che ricorrono nei personaggi di Macchi, nei suoi 'characters', termine che suggerisce la presenza e l'importanza del caso che rende diverse le persone gettate in situazioni anche simili. Sono bambini che hanno conservato una dolcezza e ingenuità triste e gioiosa allo stesso tempo, quella terribile serenità del cielo in alcuni dipinti di Federico Barocci. [...] Arcangela sembra disperatamente radunare i suoi brandelli d'ingenuità. [...]. Il monologo di Arcangela, lontano da discosi e discordie, è intriso di verità impudica, ma anche di spiritelli e di grandi demoni e di nera luce, e di anime parlanti, cui finalmente è stata data la parola e con questa la possibilità (illusoria?) di liberarsi dalla catena delle esistenze. E, di liberarla infine, dalla gabbia della cosiddetta 'Storia dell'Arte'". (Jacopa Stinchelli, Presidente Associazione Studi e Ricerche in Campo Freudiano, Roma - dalla sua Prefazione al Libro)
"Della Paladini, Alberto Macchi ha voluto restituirci un vivace ritratto con un sintetico ma riuscito monologo teatrale, articolato tra immaginazione e realtà storica. (Prof. Giamberardo Berardelli, Direttore della AETAS, Roma - dalla sua Nota dell'Editore al Libro)
... l’ispirazione del dramma, che qui io faccio vivere alla protagonista di questo testo, è scattata nel momento in cui vidi su un libro una foto del suo autoritratto conservato agli Uffizi in Firenze. Ricordo che scrutando negli occhi di quella donna, avvertii al di là dell’immagine, una sofferenza profonda, terribile, anche se il suo aspetto, quello di una persona austera, dolce e discreta nello stesso tempo, avrebbe potuto invece suscitarmi altre impressioni.
Ecco che quindi sentii subito travolgente l’esigenza di tradurre, sulla carta, quel tormento che, secondo me, si celava dietro quello sguardo, un tormento che sarebbe scaturito da un trauma che potrebbe aver vissuto [...]. Naturalmente questa vicenda interiore non risulta da nessun documento storico; essa è soltanto frutto della mia immaginazione, per una mia precisa esigenza teatrale e per il messaggio che da essa voglio scaturisca. (Alberto Macchi, Roma - dalla Nota dell'Autore al Libro)
ARCANGELA PALADINI NEL TEATRO DI ALBERTO MACCHI
La più recente fatica letteraria del noto regista e scrittore Alberto Macchi è rappresentata da tre testi teatrali riguardanti altrettanti celebrati pittori del Seicento. Di Macchi conosciamo la lunga esperienza teatrale, nel corso della quale ha portato sul palcoscenico testi di autori famosi, da Sofocle a Seneca, da Shakespeare a Molière e a Wilde, raccogliendo sempre lusinghieri consensi. E conosciamo pure la qualificata produzione di originali opere teatrali, rappresentate in varie sedi con indiscusso successo di pubblico e di critica (basti pensare al dramma Michelangelo Merigi da Caravaggio, messo in scena più volte, in Roma e in altre città). L’autorevole regista romano, pur essendo soprattutto uomo di teatro, ha goduto nel passato dell’amicizia di famosi personaggi del cinema, come Anna Magnani, Alberto Sordi, Anthony Quinn… Dal 1996 è apprezzato anche in Polonia, paese dove ha potuto estrinsecare con successo non solo le sue capacità interpretative di celebri testi, ma anche la sua riconosciuta abilità di drammaturgo, portando all’attenzione del pubblico, con proprie opere, vicende di rilievo e noti personaggi della storia polacca, il che gli ha valso l’approvazione e la stima di autorevoli esponenti delle Università di Varsavia e di Cracovia. I tre testi teatrali attualmente in fase di pubblicazione nella collana Tragos della AETAS Edizioni Internazionali riguardano nello specifico Arcangela Paladini, Carlo Dolci e Pompeo Batoni. Il primo ad uscire sarà il volume sulla storia di Arcangela Paladini, una giovane donna pisana del sec. XVII, rimasta famosa per le sue molteplici attitudini artistiche, che le meritarono l’accoglienza alla corte medicea di Firenze. Si rivelò in particolare come poetessa, pittrice, cantante ed esecutrice di preziosi ricami in seta colorata. Il lavoro di Macchi mette in risalto alcuni momenti particolarmente drammatici della vita della Paladini, che si spense all’età di soli ventitré anni. C’è da sottolineare un particolare importante, e cioè come in ciascuno dei tre volumi Macchi abbia dato ampio spazio anche ai dati bibliografici, spesso portando in superficie notizie dimenticate o addirittura ignorate dai più, cosicché, oltre che un pregevole testo teatrale, ogni opera rappresenta anche un indiscusso contributo di natura culturale. (Prof. Giamberardo Berardelli, Direttore della AETAS Editrice, Roma 2003 - http://web.tiscali.it/libronelmondo/ultime_novita.htm)
Elenco di alcune delle biblioteche in Italia, in Europa e nel Mondo dove si possono consultare in genere le pubblicazioni di Alberto Macchi:
All'estero:
Public Library – New York (Stati Uniti d’America)
The Library of Congress - Washington (Stati Uniti d’America)
British Library – Londra (Gran Bretagna)
Bibliothèque Nationale de France – Parigi (Francia)
Staatsbibliothek zu Berlin - Berlino (Germania)
Biblioteka Narodowa – Varsavia (Polonia)
Biblioteka Uniwersytecka – Varsavia (Polonia)
Biblioteca dell’Istituto Italiano di Cultura – Varsavia (Polonia)
Biblioteka Jagiellońska – Cracovia (Polonia)
Biblioteka Jezuitów – Cracovia (Polonia)
Biblioteca dell’Istituto Italiano di Cultura – Cracovia (Polonia)
Biblioteka Jezuitów – Cracovia (Polonia)
Biblioteca dell’Istituto Italiano di Cultura – Cracovia (Polonia)
Biblioteka Gdańska Polskiej Akademii Nauk - Danzica (Polonia)
Miejska Biblioteka Publiczna – Tarnów (Polonia)
Biblioteka Wysza Szkoła – Tarnów (Polonia)
Biblioteka Muzeum Okręgowego – Tarnów (Polonia)
Biblioteca Apostolica Vaticana (Stato Città del Vaticano)
Biblioteca Vaticana – Vaticano (Stato Città del Vaticano)
Ecc. ecc. ...
In Italia:
Biblioteca Nazionale Centrale Vittorio Emanuele II – Roma
Biblioteca di Archeologia e Storia dell'Arte - Roma
Bibliotheca Hertziana - Roma
Biblioteca Casanatense – Roma
Biblioteca Universitaria Alessandrina – Roma
Biblioteca Pontificia Università Gregoriana - Roma
Pontificio Istituto di Studi Ecclesiastici - Roma
Biblioteca Comunale Rispoli – Roma
Biblioteca Angelica – Roma
Biblioteca Vallicelliana – Roma
Biblioteca e Raccolta Teatrale del Burcardo - Roma
Biblioteca della Camera dei Deputati - Roma
Biblioteca dell'Accademia di San Luca - Roma
Biblioteca Romana Sarti - Roma
Biblioteca Comunale Rispoli - Roma
Unione Romana Biblioteche Scientifiche - Roma
American Academy Library - Roma
Biblioteca della Fondazione Marco Besso – Roma
Archivio dei Padri dell'Oratorio della Chiesa Nuova – Roma
Biblioteca Scolastica Multimediale Alberto Savinio del Liceo Artist. St. Giorgio De Chirico – Roma
Biblioteca Istituto Polacco di Cultura – Roma
Biblioteca Accademia Polacca delle Scienze – Roma
Biblioteca Fundacja Rzymska im. Margrabiny J. Z. Umiastowskiej - Roma
Biblioteca Comunale – San Vito Romano/Roma
Pontificio Istituto di Studi Ecclesiastici - Roma
Biblioteca Comunale Rispoli – Roma
Biblioteca Angelica – Roma
Biblioteca Vallicelliana – Roma
Biblioteca e Raccolta Teatrale del Burcardo - Roma
Biblioteca della Camera dei Deputati - Roma
Biblioteca dell'Accademia di San Luca - Roma
Biblioteca Romana Sarti - Roma
Biblioteca Comunale Rispoli - Roma
Unione Romana Biblioteche Scientifiche - Roma
American Academy Library - Roma
Biblioteca della Fondazione Marco Besso – Roma
Archivio dei Padri dell'Oratorio della Chiesa Nuova – Roma
Biblioteca Scolastica Multimediale Alberto Savinio del Liceo Artist. St. Giorgio De Chirico – Roma
Biblioteca Istituto Polacco di Cultura – Roma
Biblioteca Accademia Polacca delle Scienze – Roma
Biblioteca Fundacja Rzymska im. Margrabiny J. Z. Umiastowskiej - Roma
Biblioteca Comunale – San Vito Romano/Roma
Biblioteca Nazionale Universitaria - Torino
Biblioteca Università degli Studi - Trento
Biblioteca dell'Unione Femminile Nazionale – Milano
Biblioteca Queriniana - Brescia
Biblioteca del Centro di Documentazione Ricerca e Iniziativa delle Donne – Bologna
Biblioteca Panizzi - Reggio Emilia
Biblioteca Nazionale Centrale – Firenze
Biblioteca Riccardiana – Firenze
Kunsthistorisches Institut - Firenze
Biblioteca Comunale - Arezzo
Biblioteca Accademia Etrusca - Cortona
Biblioteca Comunale - Arezzo
Biblioteca Accademia Etrusca - Cortona
Biblioteca Comunale – Patrica /Frosinone
Ecc. ecc. ...
PUBBLICAZIONI ANTECEDENTI CONTENENTI INFORMAZIONI BIOGRAFICHE RELATIVE AD ARCANGELA PALADINI BROOMANS:
PUBBLICAZIONI SUCCESSIVE CONTENENTI INFORMAZIONI BIOGRAFICHE RELATIVE AD ARCANGELA PALADINI BROOMANS:
"Catalogo dei Pittori Fiorentini del '600 e '700"
Sandro Bellesi
Introduzione di Mina Gregori
© Polistampa, Firenze 2009
3 voll., ril. in cofanetto
1500 ill. b/n, 106 ill. col., cm. 21x28
"Life Stories of Women Artists, 1550-1800: an Anthology"
Julia Kathleen Dabbs
Ashgate, Burlington 2009
"Autoritratte: Artiste di capriccioso e destrissimo ingegno”.
a cura di Giovanna Giusti Galardi
© Polistampa, Firenze 2010
pp. 144, ill. col., cart., cm. 21x21
Articolo di prossima pubblicazione
Alberto Macchi
"Irène Duclos Parenti parla di sé e di Arcangela Paladini Broomans"
Storia di due pittrici e poetesse, entrambe vissute a Firenze: madri, sposate con uno straniero: la prima francese, del XVIII secolo, sposata con un italiano, l’altra italiana, del XVII secolo, sposata con un fiammingo
Monologo Teatrale tra sogno e realtà
In questa pubblicazione sono contenuti ulteriori dati e ipotesi, ma soprattutto aggiornamenti ai libri “Arcangela Paladini” e “Irene Parenti” di Alberto Macchi, editi a Roma dalla AETAS, rispettivamente nel 2004 e nel 2006. Vi sono inoltre elencate 120 opere pittoriche (di cui 6 opere rintracciate) e 5 opere letterarie (di cui 3 rintracciate) della Duclos, nonché 5 opere pittoriche (di cui una rintracciata) e 2 opere letterarie della Paladini.
(Pubblicazione su Gazzetta Italia n. 6/2013)
Siamo a Firenze, ai giorni nostri. Si accendono sulla scena luci colorate, di taglio e a pioggia. Appare l’interno: d’una bottega da pittore. La pittrice e poetessa Irène Duclos Parenti è seduta di spalle sopra uno sgabello al centro del palcoscenico che declama, tra se e se, alcune sue rime anacreontiche.
VOCE FUORI CAMPO DI IRENE: Figlia mia adorata, come posso raggiungerti? Tu sei così lontana ed io sono sola qui che sto morendo in questa stanza tutta bianca. Sono stata io stessa che l'ho dipinta così. La vita che di per sé è varia e colorata, io, come poetessa e pittrice, l'ho vissuta ancora più particolarmente variegata e totalmente a colori: ho perfino dipinto, nei miei versi, con i colori dell'iride, le ali bianche d'Amore il mio "capricciosissimo pargoletto", a imitazione di quelle d'una farfalla, "capricciosissimo animaletto; la morte, che invece è cupa e vestita di nero, ora la voglio attendere nella luce splendente del bianco. Quel bianco che poi, in fondo, li contiene tutti, i colori. Come è stato con tuo fratello, neanche a te posso dare l’ultimo bacio di mamma. Piccola mia, perché mai m'è stata riservata una sì crudele sorte? Morire sola, abbandonata da tutti! Ti prego, tu almeno, fa sì che la mia memoria non vada persa completamente! Ricordi il ritratto che ti feci e che tanto piaceva ad entrambe? Anche quell'immagine di te si trova lontano da me, a Varsavia. La vendetti, quella tela, ricordi? Preoccupati che ne abbiano cura. Ho saputo che il Principe Primate polacco che l'acquistò è morto lo scorso anno. Tu non lasciare che quel dipinto vada distrutto o trasferito chissà dove. Non permettere, in genere, che tutta la mia opera venga sepolta con me. Ho avuto contatti con così tante persone di cultura sulla terra, ancora viventi, ma anche già trapassati, che non vorrei sentirmi sola e abbandonata nell’altro mondo. Non farti scrupoli d’essere opportunista. Credimi, ogni cosa è regolata dall’opportunismo. La Natura stessa nel suo svolgersi s’attiene all’evoluzionismo! Quindi abbi cura soprattutto di te stessa, amore mio, tu che poi in fin fine sei il ‘mio vero, grande capolavoro...!’
IRENE: (Voltandosi di scatto) Sarò breve. Qui, in quest’altro mondo nessuno è mai libero di muoversi, di comportarsi. E comunicare con qualcuno è difficilissimo. Dappertutto sono distribuiti custodi che ci controllano, a volte anonimi, mescolati tra di noi. Allora, adesso che ho l’impressione d’essere sola qui con voi, vorrei approfittare di questa occasione unica per provare a dissipare ogni vostro dubbio sulla mia vita e sulla mia natura di donna e di artista. Ma non credo sarà facile. Dopo chissà quanto tempo dalla mia morte, potrei addirittura fare confusione circa la cronologia e l’esposizione dei fatti. Devo premettere che qui, in quest’altro mondo, dove non regna il tempo, sogno e realtà si alternano nella nostra mente e spesso si mescolano tra di loro. Così la nostra immaginazione e la nostra fantasia viaggiano continuamente a briglie sciolte. Sulla terra, dove invece il tempo confonde la mente in un’altra maniera, accade il fenomeno contrario: che spesso si è propensi a credere..., (Si alza in piedi e voltandosi di spalle) si è inclini a credere..., sì, a credere..., (Si volta di nuovo verso il pubblico) a non credere!? Si crede, si pensa. E così la giovinezza passa. (Mostra una tela dipinta ad olio: l’Autoritratto di Arcangela Paladini) Ne sa qualcosa lei, Arcangela Paladini, che fu condannata a vivere tutta una vita nell’arco della sola giovinezza. (Urla, facendo un giro su se stessa, con lo sguardo rivolto verso l’alto. Poi da sopra un cavalletto prende una tela con l’autoritratto di Arcangela Paladini. Lo guarda e lo mostra al pubblico) Non è stato così? (Rimette a posto quel ritratto e mentre lo osserva) Tu però, Arcangela, per quanto riguarda la tua arte, devi riconoscere, sei stata favorita dalla sorte. È vero, sei vissuta nel Seicento, un secolo e mezzo prima di me! Ma tu hai ricevuto ogni bene e ogni beneficio in anticipo, per poter dare poi. Io invece ho solo offerto la mia conoscenza e la mia esperienza, acquisite a dura fatica, finanche le mie sostanze, senza aver mai ricevuto né beni né benefici dalla vita, senza mai aver ricevuto compensi spontanei: con tutto quello che ho donato agli uomini che ho amato! O quello che ho saputo dare alla mia allieva preferita Emma Greenland! Quando poi non sono stata più in grado di dare o nessuno aveva più bisogno di me, allora mi sono chiusa in me stessa, senza ricevere un benché minimo sostegno da chicchessia. E ne ho conosciuti di egoisti! Ce ne sono di tutte le risme al mondo, di egoisti. Di quelli che puoi ricoprire d’oro, ma che non sarebbero mai disponibili nei tuoi confronti, per nessuna ragione. Qualche volta mi son sentita morire. Ebbene, nulla da fare, non c’era nessuno disposto ad assistermi. Se qualcuno poi è comparso, questi era un estraneo, che passava di lì, così, per caso. Ecco quindi perché oggi sono arrivata alla conclusione che anche nel privilegiato ambito dell’amore o dell’arte, il mondo è dei cosiddetti furbi. Allora voglio cambiare mondo, cambiare universo, fatemi scendere da questa carrozza, fermatelo questo mondo, questo universo! Fermatelo, devo cambiare mezzo di locomozione, devo cambiare direzione, cambiare mondo, cambiare universo! Immaginereste che neanche i miei genitori mi hanno mai capita? Finanche mio marito, un temperamento artistico anche lui! Benché, devo dire, tutti loro mi abbiano comunque amato tanto. Il mio sposo era un gran signore, un perfetto gentiluomo, un uomo estremamente galante che sapeva, forse fin troppo, corteggiare una donna. Pensate, mi conquistò con un biglietto con su scritto “Ad una donna come voi, Madame, manca un solo dettaglio per essere perfetta..., un difetto!”, quella stessa galanteria che, devo dire, mi riservava il Principe Michele Poniatowski, Primate di Polonia, uno tra i miei estimatori e acquirenti più assidui il quale, oltre alle copie che, di volta in volta, mi andava commissionando, un giorno - in mancanza d’un mio ritratto - volle acquistare per sé, a tutti i costi, un ritratto di mia figlia, magari chissà, come ricordo di me. Emma, la mia allieva inglese prediletta invece, furbescamente ha carpito dovunque ha potuto: dai maestri, da Roma, da Firenze, dall’Italia..., da me. E poi traeva sempre profitti dai rapporti con gli uomini: “Sono così mutevoli oggi questi nostri amanti, che se non approfitti subito dei loro favori nel momento in cui hanno perso la testa per te, va a finire che poi ti ritrovi all’improvviso abbandonata e con un pugno di mosche in mano!” soleva dire. Capite l’astuzia di questa mia allieva! Alla fine se n’è tornata nella sua Gran Bretagna, per sposarsi felicemente con un vicario, per raccogliere ogni gloria da sola, ignorando in particolar modo me, quasi non fossi mai esistita, proprio me che a lei - una capace pittrice, non lo nego, ma disorientata, fuori dal giro degli artisti e dei mercanti d’arte che contavano veramente – l’avevo introdotta a Firenze e in Italia, nel complesso e sconosciuto mondo della pittura ad encausto. Appena s’è realizzata non ha saputo spendere una sola parola per farmi apparire nel suo saggio pubblicato sulla famosa rivista Society Transaction, non mi ha neanche menzionata nel suo curriculum quando ha esposto l’autoritratto alla Royal Academy of Art di Londra. Il suo successo è stato suo e basta! I geni raccontano soltanto la loro storia, non storicizzano! E loro che nascono geni, non si propongono, non si confondono con gli altri: amano essere scoperti, per essere considerati tali. Lei si sentiva un genio, anche se a me non è parso lo fosse. A suo dire si sarebbe fatta tutta da sola. Nessuno l’avrebbe mai aiutata. Alla fine neanche suo marito, il Reverendo Vicario Thomas Hooker di Rottingdean, un uomo potente, titolare d’una scuola per nobili rampolli, che, di tutta risposta, ella seppe ripagarlo con una trasgressiva storia d’amore, diventando, credo, almeno per un periodo, l’amante di Johann Christian Bach figlio del grande Johann Sebastian. Non è un caso infatti se questo compositore le dedicò “Sei Sonate”. Capite? Io dovevo scomparire dalla scena; perché io, a quel punto, per lei, potevo essere soltanto un testimone scomodo. A quel punto non aveva più bisogno di me! Anche se, quand’era ancora una ragazza, io l’avevo accolta in casa come una figlia. E la Storia? Neanche lei m’ha reso giustizia! Se oggi non ci fosse stato quell’Alberto Macchi, ricercatore silenzioso, altruista, imbecille come me, a disseppellirmi, dopo oltre duecento anni, malgrado tutto quello che ho fatto, sarei restata ancora immersa nell’oblio sia come pittrice che come poetessa, benché fossi stata Membro dell’Accademia des Beaux-Arts in Francia, e Membro dell’Accademia di San Luca e dell’Accademia dell’Arcadia in Italia. Lo so, è sconveniente per me dire certe cose e sgradevole per voi stare ad ascoltarle per bocca di una povera donna, irrisolta, un’artista fallita, che ora per giunta si sta manifestando logorroica come una vecchia pazza. Allora parliamo d’altro. Benché avrei da dire anche su Macchi. Questo drammaturgo che tutto d’un tratto s’improvvisa biografo, m’ha fatto passare, per una mangiatrice di uomini, per una che ha sconvolto la vita a più d’un abate gesuita, in particolare quella di Jacopo Vittorelli; quando invece in realtà io potrei essere stata una donna così timida e riservata che aveva fin troppe difficoltà a relazionarsi con gli altri. E poi questo teatrante ha stabilito che io dovessi essere un’italiana sposata con un francese. Non potevo essere invece una francese sposata con un italiano? Insomma secondo lui io dovevo essere figlia del Sig. Parenti e moglie del Sig. Duclos, quando poteva essere l’esatto contrario. Ed avrei avuto una sola figlia, quando invece potevo avere avuto anche un figlio, che si sarebbe arruolato poi nell’esercito di Napoleone. Mah! Queste cose, certo, possono capitare a chi si cimenta con le ricerche storiche. Sentite, per divagare un momento, voglio farvi ascoltare dei versi che però credo possano risultare familiari soltanto ai francesi; qualcosa che i parigini cantavano negli anni ottanta del Settecento, mi riferisco al Re di Francia Luigi XVI: “Louis si tu veux voir/bâtard, cocu, putain/regarde en ton miroir/toi, la reine et le dauphin!”, ovvero “Luigi se vuoi vedere un cornuto, una puttana e un bastardino/guardati allo specchio con la regina e il Delfino!” (Lunga pausa). Ritornando ad Arcangela Paladini, lei, ancora più di me, è stata penalizzata da Macchi. Per costui, infatti, questa pittrice e poetessa del Seicento, sarebbe morta, oltre che giovanissima, anche senza il sollievo d’essere diventata madre. Quando invece Arcangela nella realtà ebbe due figlie, Maddalena che intraprese, come sua madre, la strada del canto e Neera, una creatura dolcissima, che sposò un noto personaggio di Firenze, tale Giuseppe Verdi. Ma, tornando a me, è bene che si sappia: io non sono stata soltanto una copista! Non ho copiato soltanto Guido Reni, Andrea del Sarto, Guercino, Raffaello, Zoffany, Tiziano ed alti. Anzi approfitto ora di questa forse unica opportunità che ho di parlare e lo dichiaro qui davanti a questa platea: io ho realizzato ad olio, a pastello o ad encausto, anche in miniatura, parecchi dipinti originali, come gli autoritratti, il ritratto di mia figlia, quello di vari personaggi italiani e stranieri, da Guido III Villa a Joseph Eckhel, paesaggi, teste e statue ispirate ad antiche sculture, Cleopatra, Polimnia, … E, prima di scomparire dalla vostra vista, ribadisco: “La mia breve esistenza terrena non è stata allegra e spensierata, fatta di soli amori e di seduzioni!” (Scena tratta dal dramma teatrale “Irène Duclos Parenti e Arcangela Paladini Broomans” di Alberto Macchi, Roma 2012, articolo pubblicato su "Gazzetta Italia" di Varsavia nel giugno 2013)
Irene Duclos Parenti e Arcangela Paladini Broomans
Arcangela Paladini, [in:] “Dizionario Biografico degli Italiani”
Lisa Goldenberg Stoppato
Treccani, Roma 2014
Volume n. 80
Elenco delle opere, dipinti e incisioni, di e da Arcangela Paladini che sono state pubblicate sul libro e non:
Arcangela Paladini Broomans
.Autoritratto della pittrice, a olio su tela di cm. 54,50x43,50 del 1621, conservato a Firenze nel Corridoio Vasariano, presso la Galleria degli Uffizi. Foto di Alberto Macchi
Arcangela Paladini Broomans
Foto in bianco e nero del suo Autoritratto a olio su tela di cm. 54,50x43,50 del 1621, conservato a Firenze presso la Galleria degli Uffizi, tratta da: Alberto Macchi, Arcangela Paladini. Monologo teatrale, Edizioni AETAS, Roma 2004.
Arcangela Paladini Broomans
Dipinto di Anna Dell'Agata, Roma, dall'Autoritratto a olio su tela di cm. 54,50x43,50 del 1621, conservato a Firenze presso la Galleria degli Uffizi.
Arcangela Paladini Broomans
Dipinto di Gisela Breitling, Berlino, dall'Autoritratto a olio su tela di cm. 54,50x43,50 del 1621, conservato a Firenze presso la Galleria degli Uffizi.
Arcangela Paladini Broomans
Incisione a bulino ottocentesca
Arcangela Paladini Broomans
Incisione ottocentesca, tratta da: Reale Galleria di Firenze Illustrata, Giuseppe Molini, Firenze 1821, vol. III
Arcangela Paladini Broomans
Incisione stampata sull’Italian Women Writers di Maria Bandini Buti (XX secolo), erroneamente attribuito a Luisa Amalia Paladini (Milano 1810 - Lecce 1872), in “Enciclopedia Biografica e Bibliografica Italiana: Poetesse e Scrittrici”, Roma 1942, Vol. 2, p. 102.
Arcangela Paladini Broomans
Incisione in rame e legno, di Caterina Piotti-Pirola (Milano 1800 – oltre 1856), cm 16x24 in: ‘Nuova Enciclopedia Popolare Italiana”, vol. XVI, Torino 1869.
Arcangela Paladini Broomans
Incisione su rame, acquaforte bulino a colori, cm. 20x30. Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768) disegnatore e Carlo Lasinio (1759 - 1838) incisore; conservata presso il Museo Regionale di Tarnów in Polonia (Coll. MT-A-G 1967). Riporta la scritta: ‘Giovan Domenico Campiglia delineò e Pietro Campana da Surcino incise in Roma’.
Arcangela Paladini Broomans
Incisione su rame, acquaforte a bulino cm. 44,50x30,00. Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768), disegnatore e Pietro Campana (1725 - 1765), incisore; conservata presso il Museo Regionale di Tarnów in Polonia, (coll. MT-A-G 1967)
Arcangela Paladini Broomans
Incisione su rame, acquaforte a bulino cm. 44,50x30,00. Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768), disegnatore e Pietro Campana (1725 - 1765), incisore; conservata presso il Museo Regionale di Tarnów in Polonia, (coll. MT-A-G 1967)
Arcangela Paladini Broomans
Incisione da: Giuseppe Rovani, Storia delle lettere e delle arti in Italia: giusta le reciproche Loro rispondenze, Borroni e Scotti, Milano 1856, vol. II)
Arcangela Paladini Broomans
Incisione del XIX secolo, cm. 25,00 x 16,00.
Arcangela Paladini Broomans
Incisione del XIX secolo, cm. 26,00 x 17,50.
Arcangela Paladini Broomans
XIX secolo, litografia di Dagmar Keultjes, Dimensioni: 88 x 62 mm.
presso Kunsthistorisches Institut di Firenze.(www.bildindex.dedokumentehtmlobj07872444,T,013#home)
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, foto in bianco e nero in: “Gli Autoritratti femminili delle RR. Gallerie degli Uffizi in Firenze”, Alfieri & Lacroix, Roma 1923.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione in rame e legno, di Caterina Piotti-Pirola (Milano 1800 – oltre 1856), cm 16x24 in: ‘Nuova Enciclopedia Popolare Italiana”, vol. XVI, Torino 1869.
"Autoritratto di Arcangela Paladini", incisione a bulino cm 12x9, del 1836,
su foglio cm 25x16, di Caterina Piotti Pirola dall’Autoritratto conservato alla Galleria degli Uffizi di Firenze.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte a bulino cm. 44,50x30,00. Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768), disegnatore e Pietro Campana (1725 - 1765), incisore; conservata presso il Museo Regionale di Tarnów in Polonia, (coll. MT-A-G 1967)
"Autoritratto di Arcangela Paladini", cm. 54,00x43,50, conservato presso la Galleria degli Uffizi a Firenze,foto in bianco e nero in: "Arcangela Paladini. Monologo teatrale tra realtà e immaginazione", Edizioni AETAS, Roma 2004.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte bulino cm. 44,50x30,00. Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768) disegnatore e Pietro Campana (1725 - 1765) incisore: riporta la scritta: ‘Giovan Domenico Campiglia delineò e Pietro Campana da Surcino incise in Roma’, conservata presso la Galleria dell’Accademia di Blle Arti Tadini a Lovere (BG) – inv. C224., tratta dal libro “Scene dei ritratti de’ pittori che se stessi si dipinsero, esistenti nella R. Galleria di Toscana”, Pietro Antonio Pazzi, Firenze II metà del XVIII secolo.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte bulino mm. 44,50x30,00: Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768) disegnatore e Pietro Campana (1725 - 1765) incisore; conservata presso la Witt Print Collection of London. Riporta la scritta: "Drawn by Gio. Dom. Campiglia, Engr. by Pietro Campana"
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte bulino cm. 20x30. Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768) disegnatore e Carlo Lasinio (1759 - 1838) incisore; conservata presso il Museo Regionale di Tarnów in Polonia (Coll. MT-A-G 1967). Riporta la scritta: ‘Giovan Domenico Campiglia delineò e Pietro Campana da Surcino incise in Roma’.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte bulino cm. 20x30: Arcangela Paladini (1599 - 1622) inventore, Giovanni Domenico Campiglia (1692 - 1768) disegnatore e Carlo Lasinio (1759 - 1838) incisore; conservata presso Villa Confalonieri a Merate (LC).
“Autoritratto di Arcangela Paladini", incisione stampata sull’Italian Women Writers di Maria Bandini Buti (XX secolo), erroneamente attribuito a Luisa Amalia Paladini (Milano 1810 - Lecce 1872), in “Enciclopedia Biografica e Bibliografica Italiana: Poetesse e Scrittrici”, Roma 1942, Vol. 2, p. 102.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte bulino in: Giuseppe Rovani, “Storia delle lettere e delle arti in Italia: giusta le reciproche ...”, 1856, Vol. II.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte bulino di Carlo Lasinio in: "Collection des Portraits des Peintres plus celebres della Gallerie de Florencie" (Coll. MT-A-G 189/87), conservata presso il Museo Regionale di Tarnow in Polonia.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame, acquaforte bulino di Carlo Lasinio, da "Collection des Portraits des Peintres plus celebres della Gallerie de Florencie" pubblicata su "Arcangela Paladini". Monologo teatrale tra realtà e immaginazione", Edizioni AETAS, Roma 2004.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”, incisione su rame di cm. 34x26 al margine del foglio, di Ferdinando Grassini, tratto dall’opera: ”Biografia dei pisani illustri“ delineati da Ferdinando Grassini pisano, Capurro Editore, Pisa 1838.
“Autoritratto di Arcangela Paladini”
incisione a Bulino su acciaio. Dimensioni compresi i margini bianchi, cm.: ca. 26,5x16,5. Luogo e Data di Pubblicazione: Milano, Borroni e Scotti, 1855-1858
“Autoritratto di Arcangela Paladini” Bildnis der Arcangela Paladini - Serie: Folge von Bildnissen, Künstler und Künstlerinnen - Data: XIX secolo - Descrizione: Archiviazione / Posizione: Kunsthistorisches Institut di Firenze, Istituto Max Planck - foto libreria (Firenze) - Autore: Keultjes, Dagmar - Fotografia Contenuto Mar - Iscrizione iscrizione al di sotto della metà - Appartiene solista non alla classe delle Celebri pittrici, ma una fonte Ancora Che delle poetesse fonte di SI e di Soave distinsero colla voce della armonia, perche riusci Eccellente nel Tutto. Fu alla Corte di Maddalena d'Austria, moglie di Cosimo II, GD di Toscana a Firenze Mar mori e 23 Anni solista NELLA Prima Metà del Secolo XVII - Iscrizione: Titolo: Sotto a metà: Palladini Arcangela - Tecnica: litografia - Provider: Athena | Germania - Kunsthistorisches Institut di Firenze - Diritti: Kunsthistorisches Institut di Firenze, Fototeca del Kunsthistorisches Istituto Max Planck per la di Firenze - Identifier: 94 851 numero d'inventario locale 07.872.444, T, 013 - Keultjes, Dagmar - 07872444/fld0001363z_p - Dimensioni: 88 x 62 millimetri Carta - Fonte: Kunsthistorisches Institut di Firenze.(www.bildindex.dedokumentehtmlobj07872444,T,013#home)
"Arcangela Paladini"
Stampa di Borroni e Scotti, Milano 1856.
(Collezione Alberto Macchi, Roma)
Prossima pubblicazione che riguarda lo stesso personaggio:
Alberto Macchi, Irene Duclos Parenti racconta di se e di Arcangela Paladini Broomans. Monologo Teatrale tra sogno e realtà, Roma-Varsavia 2011 (Storia di due pittrici e poetesse, entrambe vissute e morte a Firenze e entrambe sposate con uno straniero e con figli: la prima vissuta nel XVIII secolo e la seconda nel XVII secolo)
In questa pubblicazione sono contenuti ulteriori informazioni, opere, dati, ipotesi e aggiornamenti per i libri “Arcangela Paladini” e “Irene Parenti”, entrambi di Alberto Macchi, editi a Roma dalla AETAS, rispettivamente nel 2004 e nel 2006.
DALL'IDEA, ALLA STESURA DEL TESTO, ALLE RAPPRESENTAZIONI
Anno 2002
- Durante la lettura d'un vecchio libro Alberto Macchi vede la foto in bianco e nero dell'autoritratto di Arcangela Paladini e ne rimane colpito, poi durante una visita alla Galleria Vasariana negli Uffizi di Firenze, giunge al cospetto di quell'autoritratto per cui ancora di più sente un forte impulso a scrivere di lei.
Anno 2002
- Inizia e porta avanti le ricerche in vari archivi e biblioteche in Italia, in diverse direzioni, in quanto Arcangela Paladini oltre che pittrice è stata cantante, musicista, poetessa, ricamatrice.
Anno 2003
- Terminata la prima stesura del testo teatrale comprensiva delle immagini, delle note e della bibliografia, entro l'anno è pronto il testo definitivo.
Anno 2004
- La Prefazione al Libro è già pronta. Il testo corredato di foto, note e bibliografia viene puntualmente pubblicato a Roma.
Anno 2005
- Lettura Drammatizzata per una ristretta schiera di amici, a Pineto in provincia di Teramo, con Astrea Amaduzzi, presso il Centro "Agathé" diretto da Anna Dell'Agata.
Anno 2009
- Lettura Drammatizzata a cura di Alberto Macchi, al Teatro "Enrico Marconi" di Varsavia, in Polonia.
Anno 2011
- Seminario sulla pittrice con lettura di alcuni brani del testo, a cura di Alberto Macchi, presso la Sala Conferenze dell'Associazione 'Italiani in Polonia'.
Anno 2012
- Pubblicata scena dal testo teatrale “Arcangela Paladini”, su Gazzetta Italia n. 9/2012, in lingua italiana e in lingua polacca.
Anno 2013
- Scritto da Alberto Macchi un nuovo testo teatrale dal titolo “Irene e Arcangela”, in cui che egli fa incontrare Irene Parenti e Arcangela Paladini all'altro mondo,in modo da poter chiarire alcuni aspetti delle loro vite.
- Pubblicato il testo teatrale “Irene e Arcangela”, su Gazzetta Italia di Varsavia n. 6/2013, nelle lingue italiana e polacca.
Anno 2004. Loggia esterna della Chiesa di Santa Felicita in Firenze. Una donna esce dal lato sinistro della scena. Ha in mano il bastone della pioggia, lo agita con maestria producendo quel suo suono caratteristico. Poi, mentre avanza lentamente, intona un canto di Hildegard von Bingen dal titolo “Ave Generosa”. Esce di scena. Ma ecco che Arcangela Paladini appare da dietro un mausoleo, il suo, posto sul fondo al centro della scena. Ha indosso un mantello.
ARCANGELA: Mio padre, è stato per tutti un grande artista, soprattutto un pittore valente, sì, ma, per quanto mi riguarda, egli è stato soltanto un genitore invisibile e irraggiungibile come il vento. L’unica cosa che so di lui è che si chiamava Filippo Paladini, che era nato a Pistoia e che era un bell’uomo, castano di capelli e con gli occhi scuri, sempre in giro per la Toscana a lavorare, a rincorrer donne, a giocare a dadi e a bere con gli amici nelle osterie. Prenderlo era come voler imbrigliare il vento con una rete. (Avanza dal centro del palcoscenico e viene a posizionarsi in proscenio). Come sono venuta al mondo?
In età molto adulta, mio padre, ancora non ammogliato, si trasferì da Pistoia a Pisa. Durante la sua permanenza in questa città, mentre stava lavorando ad alcuni mosaici che ornavano le porte del Duomo, incontrò per caso colei che poi sarebbe diventata mia madre. Fu un colpo di fulmine per entrambi. Decisero così, da un giorno all’altro, di sposarsi, per cui lei molto presto rimase incinta di mio fratello Lorenzo prima e poi, qualche anno dopo, di me. Raccontava mia madre che, malgrado il matrimonio e malgrado fosse divenuto padre di un figlio, egli non era affatto cambiato. Continuava a frequentare donne e amici e a girare di qua e di là facendo solo di tanto in tanto ritorno a casa. Ma, stranamente, quando mia madre stava per partorirmi, quella volta egli le restò accanto per tutto il tempo. Forse avrà pensato che sarebbe stato perlomeno opportuno attendere che io fossi nata, prima di ricominciare a trascurare la sua famiglia come al solito. Così sembra si sia rassegnato ad attendere, addirittura con una certa premura, il lieto evento. E anzi, subito dopo il parto, quando m’ha vista - m’ha raccontato ancora la mamma - sembra si sia talmente entusiasmato per me, che ha deciso di restare con noi, questa volta, almeno per un po’ prima d’allontanarsi di nuovo.
...............................................................................................................................................................................................................................................................
Comunque mio padre, per circa due anni, non ha mai smesso di coccolarmi, proprio come avrebbe fatto un vero padre, tenendomi spesso con sé presso la sua bottega di pittore.
Io, mi dicevano, ero tremendamente irrequieta. Disordinavo i suoi colori, imbrattavo le sue tele e finanche i suoi disegni preparatori, ma egli sembra mi guardasse sempre con molto affetto e sembra fosse fiducioso che un giorno io sarei divenuta una valente pittrice. Stando sempre a quanto m’è stato riferito, sembra poi che egli mi lasciasse copiare col carboncino, con i pastelli o con le tempere, ogni suo lavoro, anche se ero ancora troppo piccina per poter apprendere qualcosa. Io potevo soltanto scarabocchiare quei suoi fogli e quei suoi cartoncini imbrattandomi mani e viso. Ma lui sembra fosse sempre paziente, anzi divertito, tanto che mi chiamava “scimmietta”. Quando avevo due anni appena, egli sparì di nuovo e non lo rividi mai più. Sì, perché morì così all’improvviso, sette anni più tardi, che io avevo soltanto nove anni. È’ vissuto come uno zingaro. È stato indubbiamente uno spirito libero, “più uno sgherro che un pittore”, un po’ come Caravaggio!
(Rivolgendosi al pubblico con un gesto) Voi vi chiederete perché io stia raccontando tutto questo miscuglio di realtà e di immaginazione. Ebbene, è perché devo sfogarmi! Ho bisogno di sfogarmi con qualcuno. (Lunga pausa).
Non avevo ancora compiuto ventitré anni che la mia vita se ne andò.
Visto che voi siete qui, seduti davanti a me, ora vi racconto tutto fino in fondo. Ma cominciamo dall’inizio.
Come già vi ho accennato, un po’ per una questione di geni ereditari artistici, un po’ perché ebbi da mio padre anche quel giusto impulso che occorre per iniziare a dipingere, sta di fatto che fin da giovanissima m’avviai, in maniera seria e costruttiva, nel mondo dell’arte. Arte intesa nel senso più lato della parola. Sì, perché m’appassionai e mi dedicai in egual misura, oltre che alla pittura, alla musica e al canto, anche al ricamo, alla creazione degli arazzi, alla poesia.
Mia madre era una donna borghese, una modesta lavoratrice, ma una persona di grande dignità e molto paziente con me, malgrado io fossi tremendamente irrequieta. Non facevo altro che assordarla quando era in casa col canto o col suono di qualche strumento musicale; questo ogni qual volta avevo esaurito di leggere o comporre poesie e dopo aver riposto pennelli, colori e tele.
Benché fossi ancora giovanissima già studiavo con vera passione. E questo sia per tutto il periodo che sono rimasta in casa, che quando ho vissuto in convento. Mia madre credeva molto in me. Così, magari con grandi sacrifici, ma volle che fossi seguita da ottimi maestri. Il talento e l’entusiasmo non mi mancavano. Però spesso ero triste: avvertivo l’assenza di mio padre.
Un inverno, durante un soggiorno che il Granduca si concesse con tutta la sua Corte a Pisa, alcune autorevoli persone del seguito, avendo sentito parlare in città di tutte queste mie attitudini, vollero conoscermi. Così fui presentata alla Granduchessa Maria Maddalena d’Austria, la quale mi volle immediatamente con sé a Firenze, ma credo, così, per un capriccio. Il Granduca Cosimo II de’ Medici acconsentì subito e ordinò ch’io fossi accolta o meglio trattenuta al servizio di sua moglie.
Benché io mi fossi sentita come un oggetto di cui si poteva disporre senza problemi, “merce vista e piaciuta e quindi acquistata” e benché fossi arrivata ad odiare mia madre per avermi ceduto, chissà dietro quale compenso o promessa, senza batter ciglio - ella, ricordo ancora, mi salutò senza versare una lacrima, assicurandomi che sarei andata a star meglio, per me aveva deciso tutto lei, senza chiedermi nulla - benché tutto questo insomma, m’ambientai subito alla nuova situazione e presto m’affezionai più o meno un po’ a tutti i cortigiani di Casa Medici. Ed io a mia volta diventai per tutti loro un idolo o forse più semplicemente un giocattolo; in special modo per il Granduca allora appena diciannovenne e per la Granduchessa, giovanissima anche lei, ma già madre.
Lei volle subito che mi dedicassi al ricamo per ornare i suoi abiti e che cominciassi anche a dipingere e a confezionare arazzi per decorare la sua casa.
Il tempo così per me, anche se presa dagli impegni, trascorreva nella più totale quiete e in una infinita serenità. E poi mi sentivo accudita, vezzeggiata, amata.
Il Granduca intanto, malgrado fosse sempre impegnato con gli affari interni, con le carestie ricorrenti, con una epidemia di tifo e con la politica estera, spesso mi invitava a cantare per lui. E mi elogiava pubblicamente affermando che io possedevo una voce straordinaria, come nessuna a Firenze. Secondo lui avevo superato perfino Francesca Caccini, la famosissima cantatrice e musicista, universalmente conosciuta come “La Cecchina”, colei che a Corte aveva assunto il ruolo, che in precedenza aveva avuto suo padre, di organizzare spettacoli musicali. E il Granduca mi apprezzava moltissimo anche come musicista e come compositrice. Potete immaginare le invidie degli altri musici, cantanti e cantatrici, come il castrato Doni, il cantante Muzio Effrem o Vittoria Archilei … e della Cecchina stessa!
Particolari attenzioni me le riservava anche uno dei tanti uomini che frequentavano la sua Corte, un anziano signore dall’aspetto rassicurante, una persona saggia e colta, che mi affascinava particolarmente, un po’ per il suo carisma e un po’ per i suoi interessantissimi discorsi intorno alla pittura, all'architettura e alla storia.
Alla Corte di Firenze insomma, non era di certo come a casa mia a Pisa. Qui mi sentivo veramente realizzata, potevo espletare ogni tipo di attitudine artistica. Certo, qualche volta mi mancavano sia mamma che papà! Me ne accorgevo in particolar modo, quando i Granduchi dovevano riservare tutte le attenzioni ai loro figli. Pensate, nel corso della loro vita ne ebbero ben otto, in totale!
Ma la Granduchessa comunque diventava sempre più premurosa nei miei confronti. Ero divenuta per lei come una sorella più piccola. Che poi mi stimasse oltre che essermi affezionata, lo capii un giorno quando, parlando con una sua amica, mi definì “Una ragazza dai gusti semplici, modesta nelle abitudini, una che non è salita mai in superbia, malgrado i favori di cui gode a Corte”.
Questo comunque era vero. Infatti devo riconoscere a me stessa che restai sempre di mentalità borghese, anche se, nella realtà, vivevo tra i fasti. Il mio orgoglio non s’era mai accresciuto né per gli onori che da tutti mi venivano tributati né per l’affetto particolare che la Granduchessa mi dimostrava.
Se qualche volta mi sono servita della mia influenza su di loro, l’ho fatto soltanto per poter procurare qualche servigio a qualcuno che ritenevo ne avesse bisogno: alle persone incapaci di far valere i propri diritti, ad esempio, o a coloro che erano palesemente più sfortunati di me; tutto questo naturalmente senza mai chiedere nulla in cambio da loro. Da quella posizione di vantaggio, essendo io una persona di estrazione simile alla loro, potevo meglio capire le diverse condizioni delle persone afflitte da reali bisogni.
(Rivolgendosi al pubblico con un gesto) Vedete, ad esempio c’è chi è povero, ma intraprendente, vuoi perché sa chiedere, vuoi perché sa farsi valere; ebbene costui, più o meno, in qualche modo riesce a vivere; c’è invece chi è timido e timoroso o chissà, in fondo, forse superbo e orgoglioso, capace comunque di soccombere nel silenzio per non saper o per non voler chiedere; ebbene, quest’ultimo secondo me va aiutato, particolarmente. Tante volte basta un nulla per recuperare alla vita queste persone: sarebbe sufficiente infondere loro un po’ di coraggio e un pizzico di fiducia in se stessi, interessandoci a loro con un aiuto concreto, prendendo noi l’iniziativa senza star lì a far domande. Se ad una persona con quest’indole le si chiedesse di poterla aiutare, certamente lei risponderebbe di non aver bisogno di nulla. Questa gente è fatta così, per timidezza, per orgoglio o per timore, non so, … so soltanto che son fatti così.
E io mi sono sentita sempre dalla loro parte, perché anch’io un tempo ero spesso così timida e riservata, quindi soggetta a quello stesso stato di prostrazione. Forse, oggi dovrei dire: mia madre ha avuto ragione a lasciarmi andare a Firenze, perché se fossi restata in casa a Pisa, sarei rimasta una povera artista irrealizzata, comunque modesta o incompresa come tante in quelle mie stesse condizioni di allora, forse addirittura senza alcuna prospettiva per il futuro e magari sola e indifesa perché praticamente orfana di padre. E oggi capisco anche quanto dev’essere costato in sofferenza a mia madre, il lasciar andar via di casa la sua “puttina”.
Ma tornando a Firenze e a Casa Medici, il Granduca, pensate, era malato di tisi e spesso aveva delle tremende crisi. Allora un giorno accorgendosi che anch’io ero abbastanza cagionevole di salute e prevedendo di morire egli d’una morte prematura, mi fece accordare, per precauzione, una buona pensione al fine di garantirmi un futuro. Quando compii diciassette anni, poi, il Granduca, chissà, forse dietro suggerimento di quell’anziano signore che vi ho descritto prima, mi diede in isposa al maestro di disegno e di ricamo, Giovanni Broomans, un signore fiammingo, di Anversa; continuando però a riservarmi le amorevolezze di sempre, fino alla sua morte, che sopraggiunse appena cinque anni più tardi. (Pausa. Considera) A proposito della morte; perché, spesso prima di raccoglierci, questa ci deve tormentare così tanto a lungo, sottoponendoci alla pietà degli altri e deve offendere la nostra dignità? Quella dignità che magari noi, abbiamo sempre difeso con tutte le nostre forze...
Che poi non c’è nessuna relazione fra la vita e la morte. Sì è difficile vivere, è vero, ma è ancora più difficile morire! Mah! Torniamo a noi ...
Eppure, credetemi, io ho un rospo qui dentro allo stomaco, un mattone che non riesco a digerire e ho come un groppo alla gola che non mi consente di tirarlo fuori. È un tormento infinito che non m’abbandona mai.
“Come è possibile che tu abbia questo problema dopo tutto quello che di bello ci hai raccontato? Ti ha turbato forse la morte prematura del Granduca!” direte voi.
La morte del Granduca mi ha segnato, è vero, ma per poco tempo, perché io lo raggiunsi appena un anno più tardi. Quando egli scomparve aveva trentun anni; io invece, quando abbandonai il mondo, ne avevo ancora ventidue. Ah, fossero esistiti, ai miei tempi, uomini come Robert Koch con il suo microscopio o come Alexander Fleming con la sua penicillina! (Pausa)
No, questo mio segreto è cosa ben più grave della morte. È un’agonia senza fine.
Vi ho parlato di tanta gente attorno che si è presa cura di me; una vera famiglia che mi ha sempre assistito e in più tributato premi e onori. Vi ho raccontato d’essere stata trattata dai Medici di Firenze meglio che una figlia.
Di che cosa avrei mai da lamentarmi allora, adesso? (Fa un lungo sospiro. Pausa)
Essì! (Fa un altro sospiro. Pausa)
È vero, la Granduchessa continuava a farmi regali in ogni occasione. Ed un giorno mi pregò di ritrarre me stessa su una tela, perché lei potesse avere memoria di me. Ancora un gesto carino da parte sua. Non è vero?
Ebbene da questo autoritratto ne scaturì un’opera eccellente, mi fu detto; tanto che Ferdinando II, successo a suo padre, la farà trasferire dalla residenza dei Medici per essere esposta presso la Galleria Medicea.
E devo aggiungere che anche l’unione con mio marito è stata eccellente.
Lui era una persona dolce e comprensiva e, nello stesso tempo, aveva uno spirito allegro. Era un maestro molto stimato che, col solo insegnamento del disegno e del ricamo a Corte, s’era arricchito come nessuno.
E mi amava così teneramente che io non avrei potuto non amarlo; anche se, quando mi fu proposto come marito dal Granduca, se non l’avessi gradito, non avrei potuto rifiutarlo. Anzi, devo dire, se fossi vissuta più a lungo, aprendomi interamente, con lui avrei di certo potuto riacquistare quella serenità che dentro di me avevo perso. Avrei forse trovato il coraggio di liberarmi di questo mio segreto. Che poi tra artisti ci si poteva intendere benissimo. Mah!
(Per cambiare argomento) Ho eseguito il ritratto di Leopoldo de’ Medici, uno dei figlioli del Granduca. Malgrado egli avesse solo cinque anni, intellettualmente era molto più grande della sua età. Pensate, il giorno in cui espresse il desiderio di farsi ritrarre, alludendo a me, disse che soltanto una donna “dal viso leale, dall’aspetto aperto, intelligente e dall’occhio franco e serio” avrebbe potuto ritrarlo su una tela destinata ad essere consegnata ai posteri. E quando commentò il mio “Autoritratto”, (Va a recuperare la tela dietro il mausoleo) ecco questo, (Lo mostra) addirittura disse di me: che ero “una donna straordinaria perché avevo avuto il coraggio (Mostra di nuovo al pubblico il dipinto col suo ritratto), come potete osservare, di riprodurmi modestamente, abbigliata di scuro, senza fronzoli né nastri né pizzi né gemme: solo con un filo di perle che mi cinge il collo”. Artemisia Gentileschi, anche lei, mi trovava così aggraziata e raffinata che mi propose di posare per lei in “Santa Cecilia”. - Io posare come modella? - mi dissi in un primo momento, poi invece accettai con molto piacere di posare per lei, una pittrice, peraltro, universalmente molto apprezzata.
Ma ecco che improvvisamente per me sopraggiunse la morte, nel profondo tanto desiderata. Avevo compiuto da poco ventidue anni, quando mi ammalai di una strana malattia per morire subito dopo. Quella morte, che nei momenti di profonda disperazione avevo invocato tante volte, finalmente era venuta a liberarmi.
Ecco, questo è tutto! (Va a poggiare la tela in un angolo della scena)
Che banale conclusione! Vi starete chiedendo: questi autori teatrali a volte non sanno né concludere né trovare efficaci colpi di scena; non considerano insomma l’elemento sorpresa, l’imprevedibilità, caratteristica essenziale per una efficace rappresentazione teatrale. E in particolar modo per un monologo come questo.
La cronistoria che fin qui vi ho esposta, aggiungo io fuori testo, è soltanto il riflesso di come potrebbe essere apparsa la mia vita agli occhi dei miei biografi se ve ne fossero mai stati. (Si volta e indica il mausoleo) Questo monumento, (Va a toccare il basamento del mausoleo) vedete, è il mio mausoleo. (Accarezza prima nel senso orizzontale e poi verticale tutto il mausoleo) Se qualcuno, così, fra i posteri, mi dovesse ricordare, sarà grazie alla Granduchessa Maria Maddalena, o meglio Magdalena d’Austria che lo ha voluto qui, in questa Chiesa di Santa Felicita a Firenze. (S'appoggia al mausoleo con le braccia intrecciate sulle quali poi poggia la testa, come se stesse a riflettere. Lunga pausa. Poi si gira e torna a guardare il pubblico) Ma voi, giustamente a questo punto, vi starete chiedendo ancora, cosa ci sia dietro tutta questa storia. Certo, capisco!
Però prima avrei da precisare un altro particolare, tutt’altro che irrilevante, nient’affatto trascurabile: la vera identità di mio padre. Che mio padre si chiamasse Filippo Paladini non v’è dubbio. Ora però bisogna vedere quale dei Paladini fosse fra tre che se ne conoscevano allora in Toscana, tutti pittori. Se quelli di Pistoia, sì perché di Pistoia ho saputo che ce n’erano due, pressappoco della stessa età. Uno dei due naturalmente dev’essere colui a cui ho alluso prima. Dell’altro so soltanto che era un omonimo. Del terzo invece son venuta a sapere con certezza che era di Casi, una località vicino a Firenze. Per cui costui possiamo escluderlo a priori. Allora restano i due di Pistoia. Ebbene per quante ricerche abbia fatto, per quanto abbia potuto dedurre analizzando le opere pittoriche di entrambi, non sono riuscita a stabilire quali dei due possa essere stato mio padre. Essì, anche questo tormento ci voleva!
Mia madre, che anche lei morì prematuramente quando io avevo appena undici anni, subito dopo ch’io ebbi lasciato la casa per trasferirmi a Corte, come già sapete, non ricordo che mi parlasse molto di mio padre e non ricordo che abbia accennato mai ai miei nonni paterni. Di loro non so neppure i nomi. Anzi lei evitava di parlare di mio padre e dei suoi genitori. Evidentemente per non dover fare commenti, certamente negativi, sulla sua condotta nei confronti di lei e dei suoi figli. E forse anche perché doveva tenermi nascosto, per pudore, qualora fosse stato vero, quell’episodio alquanto anomalo e certamente scomodo da raccontare, del suo allattamento, sia pur se ciò si protrasse soltanto per qualche giorno. Io, tutto questo, verrò a saperlo diversi anni più tardi, da una zia, che asseriva di esserne a conoscenza e che non voleva morire senza avermi prima confidato quello strano segreto. Da tener presente però che questa mia zia era conosciuta da tutti per le sue maldicenze e per i suoi pettegolezzi, quindi per nulla affidabile. Sicché…
La mia infanzia si era svolta sempre con la “mi’ madre”, noi due da sole, con lei che era ogni giorno al lavoro nei campi attorno alla casa ed io impegnata con i miei strumenti musicali, con la carta e con la penna, con i colori ed i pennelli, ma soprattutto col tombolo e col ricamo. Mio fratello Lorenzo anch’egli, come il “mi’ babbo”, era sempre assente perché fin da piccolo, da “cittino”, doveva seguire mio padre, come un cagnolino, nel lavoro, nelle osterie e nelle sue sporche faccende. E poi con lui era impossibile parlare. Un tipo chiuso, musone, sempre per conto proprio. Poi da quando mi trasferii alla Corte Granducale, non ci siamo mai più rivisti, neanche ai funerali di nostra madre.
...............................................................................................................................................................................................................................................................
"Villa Broomans" o "Villa Delle Scalere" a Firenze.
Mausoleo di Arcangela Paladini Broomans nella Chiesa di Santa Felicita a Firenze.
"Art by Women in Florence" di Jane Fortune e Linda Falcone.
Gentile Sig. Macchi, Le scrivo da parte della Advancing Women Artists Foundation, organizzazione a Firenze dedicata alla ricerca, il restauro e l'esibizione di opere di donne artiste nei musei di Firenze. Inanzitutto, volevo complementarmi con lei per il suo lavoro riguardante le donne artiste, in particolar modo la Irene Parenti Duclos…
Linda Falcone - Advancing Women Artists Foundation, Director.
LINK FILM E DOCUMENTARI RELATIVI AL PERSONAGGIO O AL PERIODO DI ARCANGELA PALADINI
"Artemisia Gentileschi", film di Agnes Merlet del 1998
http://www.youtube.com/watch?v=q51Cc0Y69DA
Nessun commento:
Posta un commento